Un filo rosso color del vino percorre la Storia della Sardegna

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Antica  Sardegna,  isola in mezzo al mare dalle coste ospitali e l’interno impenetrabile. Baciata dal sole e dalla luce e spazzata da venti che ne inclinano gli alberi. Granitica e selvaggia, sabbiosa e calcarea lambita da un mare salatissimo e trasparente. Sulle sue coste e lungo i suoi fiumi che attraversano come autostrade naturali i territori più ospitali abita, nell’età del bronzo, un popolo fiero che vive in pace. Un popolo che vive in semplicità circondato da verdi distese su piccole alture per possedere con lo sguardo l’orizzonte. Vivono in piccoli villaggi disposti intorno ai Nuraghi in una dimensione conviviale in cui si divide il pane e forse già si beve il vino. Un vino che forse non ha le caratteristiche che oggi conosciamo, che forse è dolce, forse è speziato oppure è essenziale , primitivo e ricorda la semplicità senza troppi fronzoli della cucina sarda, ma che è comunque e pur sempre vino! La vite selvatica,  antica pianta di Sardegna, cresce rigogliosa senza addomesticazione in attesa di essere accarezzata e curata da sapienti mani fenicie.

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Quella appena descritta è una Sardegna disegnata in punta di “trowel” sui brevi e significativi tratti della cultura materiale del popolo Sardo. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce brocche panciute dette askoidi molto probabilmente destinate a contenere vino, bronzetti rappresentanti uomini che sembrano libare vino da brocche askoidi, vinaccioli  e acini carbonizzati, torchi utilizzati molto probabilmente per la torchiatura dell’uva e palmenti pressoi litici. In un secondo momento le coste sarde vedono l’arrivo dei fenici.

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Questi ultimi arrivano in pace, quasi in punta di piedi  fra Marzo e Ottobre navigando in acque favorevoli fino alle Coste ricche d’argento e verso giacimenti  colmi di rame. Prendono dimora inizialmente in luoghi costieri, isolati e protetti con un occhio rivolto al mare e l’altro alle ricchezze  minerarie della terra sarda e poi si spingono lungo il corso dei fiumi per penetrare in parte l’interno. Portano beni di lusso, ceramiche pregiate e ciò che conoscono sulla vite e la sua coltura e sulle tecniche di vinificazione. Inizialmente non vengono per restare ma la ricchezza di quest’ isola  e la sua luminosa bellezza li seduce a tal punto che decidono di mutare intento perché non basta più lo scambio di beni fra terre divise dal mare, non basta più stabilirsi sulle coste ricche d’argento da Marzo ad ottobre perché ora conoscono il gusto del sale sardo,conoscono l’aroma di quelle viti,il colore della nostra porpora,la tenerezza delle carni dei tonni del mare di Sardegna, le terre da pascolo e i terreni fertili. In questa fase inizia il commercio del vino sardo verso l’Etruria. I Fenici insegnano al popolo Sardo le proprie tecniche di vinificazione e le tecniche di conservazione e trasporto del vino. Da una iniziale amicizia segnata da una collaborazione fruttuosa e rispettosa dell’altrui cultura si sfocia in una commistione  forzata di culture, di saperi così come dal confronto costruttivo si passa alla progressiva imposizione di modelli fenici fino a svelare il vero carattere dei rapporti sottostanti che ormai appaiono senza veli, intrisi e macchiati da interesse e sfruttamento.

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Più tardi anche i Cartaginesi, intuiranno il potenziale del vino isolano, di quella terra così vocata e di quel clima perfetto sublimato dall’aria salmastra e intensificheranno la coltura della vite affiancandola a quella cerealicola. Verranno create da mani sapienti anfore vinarie dette “Zita” di foggia orientale e argilla locale per trasportare il vino. Questo vino conquisterà i mercati iberici e nord africani. I cartaginesi sono però mal tollerati dal popolo Sardo, al loro arrivo, infatti,avevano portato distruzione ( Bithia e monte Sirai) e avevano trasformato i sardi in soldati. Una rivolta dei soldati mercenari decreta il futuro Romano dell’ isola.

L’arrivo dei Romani segna il territorio Sardo. I romani solcano il territorio con opere  indelebili. Trasfigurano ciò che è  selvaggio per renderlo geometrico e funzionale: costruiscono strade,ponti,terme, teatri, acquedotti , case, ville e fattorie.

Ad  Olbia(fattoria romana S’Imbanconadu), ad esempio, sono stati rinvenuti i resti di un’abitazione  risalente alla metà del I -II secolo a.C. con un cortile di pertinenza con ambienti atti alla produzione vinicola oltre che alla panificazione. Ancora una volta uva e cereali, pane e vino presenti entrambi a confermare nuovamente la vocazione della terra sarda. Anche nel Nuraghe Arrubiu sono stati rinvenuti due laboratori destinati alla produzione del vino con vasche per la pigiatura, torchi, recipienti, bacili, basi e contrappesi oltre che vinaccioli carbonizzati di Bovale Sardo. In età tardo repubblicana la coltura della vite subisce una battuta d’arresto a causa dell’ affermazione dei vini provenienti dai territori di oltremare dell’Italia centrale. I Sardi hanno in realtà sempre subito il fascino di ciò che arriva da oltre il mare, che supera i loro confini e che è per loro misterioso, sconosciuto e accattivante.

La coltura cerealicola, in questo periodo, si impone sulla coltivazione delle vite distraendole attenzioni. Bisognerà aspettare l’età imperiale per veder rifiorire la vitivinicoltura Sarda. In età medioevale e giudicale si continua a coltivare la vite ma complice la fascinazione sarda per l’oltremare si iniziano ad  importare vitigni e vino prodotto fuori dall’isola. Questo sembra essere il caso della Malvasia che parrebbe essere stata introdotta in Sardegna, alla fine del VII secolo, dai monaci orientali che frequentemente coltivavano la vite in terreni annessi ai monasteri. La malvasia avrebbe mutuato il nome dalla “Monemvasia” probabilmente suo luogo di origine. Ciò sarebbe confermato anche dalla curiosa circostanza che alcuni agricoltori anziani si tramandano l’uso della dicitura “ uva greca”in riferimento alla malvasia. I monaci in periodo giudicale sono i responsabili di una coltivazione della vite innovativa che consta di nuove tecniche. Camaldolesi, Cistercensi, Vittorini e Vallombrosiani  coltivano le vaste porzioni del territorio annesse al loro monastero in ossequio alla regola benedettina dell’ora et labora. La vite, infatti, rappresentava per gli stessi monaci metafora del Cristo vite e dei tralci e il suo prodotto era in nuce il sangue del Cristo stesso. Così oranti e meditanti dedicavano il loro duro lavoro e il loro amore alla coltura di questo frutto. La vite, ad ogni modo, è sempre stata una coltivazione importante per il popolo sardo. Ha sempre rivestito, insieme al grano e all’olivo, un carattere predominante e ne ha sempre caratterizzato i panorami. Questo rilievo è documentato anche nella  “Carta de Logu.”

Fra le pagine della “Carta” possiamo leggere che a quei tempi, veniva comminata come massima pena il taglio  della mano per chi bruciava la vigna altrui o la sradicava (1300).Solo cento anni prima potevamo leggere nel codice degli statuti del Libero Comune di Sassari il divieto di importare vino da fuori, di piantare nuova vigna se non si era previamente provveduto ad estirparne. Questo protezionismo, nuovo per la Sardegna, fu condiviso dagli Spagnoli allorquando nel 1360 Pietro II di Aragona statuì il divieto di importare in territorio Algherese vino proveniente da altri centri.

In “De naturali Vinorum historia” il Bacci fa menzione dell’abitudine dei sardi di produrre vino da viti selvatiche e dunque sappiamo che anche in questo periodo i Sardi continuavano a sfruttare per la vinificazione anche la vite non addomesticata. La vite addomesticata veniva, invece, coltivata in terreni su cui erano presenti anche l’olivo, la frutta e i cereali. Gli Spagnoli, in seguito, tra il XIII E XVIII secolo introdussero nuove cultivar e, secondo alcuni autori, un nuovo modo di allevare la vite il cosiddetto metodo a: Sa catalanisca” che si andava a contrapporre a quello a “ Sa Sardisca”. Secondo altri autori questo metodo era ed è perfettamente combaciante con l’alberello latino e, dunque, di introduzione più risalente e non Spagnola. Durante la dominazione piemontese la Sardegna vantava un’ampissima superficie vitata prima dell’avvento della fillossera.

Alla fine del 1800 la diffusione di questo insetto colpì duramente gli apparati radicali delle viti piantate sulla terra del  “vecchio mondo del vino”. La fillossera, piccolo e insinuoso insetto, portò alla distruzione di  buona parte dei vigneti europei. Nei primi del 900 si scoprì che questo parassita non attaccava la vite americana e si decise, dunque, di provare ad innestare le viti su piede americano e questa operazione rappresentò la salvezza per la viticoltura dell’intero  vecchio mondo del vino. Oggi la vite viene ancora innestata su vite americana per scongiurare la maledizione rappresentata dalla fillossera anche se rimangono pochi e rari esempi di viti a piede franco che grazie ad un terreno sabbioso riescono ad evitare che questo insetto possa attaccarle e la Sardegna vanta l’esempio del Carignano del Sulcis. Ancora oggi la  vite e il vino rappresentano buona parte dell’economia sarda e ne caratterizzano il panorama. Grazie a uomini coraggiosi, determinati e innamorati delle proprie produzioni si è passati dal produrre vino da taglio al produrre vere e proprie eccellenze territoriali e oggi la Sardegna può vantare la produzione di tante bottiglie di qualità che percorrono le strade del mondo facendo conoscere aromi e caratteristiche della terra sarda ben oltre i nostri confini.

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Pizzette di Melanzana

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Ingredienti:

una melanzana media

due uova grandi

sale q.b.

un pomodoro o qualche pomodorino ciliegino

origano

semola q.b.

pane grattugiato q.b.

olio evo q.b.

latte q.b.

pepe nero

capperi (opzionali)

due mozzarelle sgocciolate

pizzette di melanzane

Procedimento:

Tagliare la melanzana a fettine abbastanza sottili e immergerle nel latte per circa mezz’ora. Scolare le fette di melanzana e passarle da ambo i lati nell’uovo (precedentemente  sbattuto con l’olio salato e pepato) e poi nella semola. In seguito passarle nuovamente nell’uovo e poi nel pane grattugiato.

Disporle in una teglia capiente rivestita con carta da forno. Far cuocere fino a doratura. Nel frattempo tagliare i pomodorini pachino e la mozzarella sgocciolata a cubetti. Sfornare le melanzane e disporre sopra ogni fetta il pomodoro, la mozzarella l’origano e gli eventuali capperi e infornare  nuovamente a 180 gradi fino a  far sciogliere la mozzarella. Buon Appetito!pizzette di melanzane

Ciambiscotto del Buonumore!

biscottini del buonumore

Ingredienti:

650 gr di farina

250 gr di zucchero

2 limoni grattugiati

una bustina di lievito per dolci

una bustina di vanillina

scorzette d’arancia candita

perle di cioccolato fondente.

2 uova

200 gr di burro col 50 % di grassi in meno

Procedimento

All’interno di un contenitore molto ampio versare la farina mischiata con il lievito e la vanillina, e disporla a fontana. Versarvi all’interno lo zucchero, le uova, il burro ammorbidito tagliato in piccoli pezzi e la scorza grattugiata dei limoni. Impastare il tutto fino ad ottenere un impasto omogeneo, aggiungere il cioccolato e le scorzette, formare una palla con l’impasto, involgerla con la pellicola e porla in frigo per circa mezz’ora. Stendere l’ impasto con il mattarello sulla spianatoia infarinata e ricavare con l’ausilio di alcune formine la forma di biscotto desiderata. Infornare a 180 gradi in forno preriscaldato fino ad ultimare la cottura.

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Mini Quiche di Porri e Zucchine

Esiste un adagio popolare che recita: “Aprile dolce dormire” ed io, simbolo vivente della veridicità di questa affermazione, mi trascino da giorni avanti e indietro fra mille impegni e incombenze e quasi dormo in piedi! Ho davvero poco tempo per rilassarmi nella mia cucina ma i rari e preziosi momenti che riesco a trascorrervi mi bastano per ricaricare le batterie 😉 Sono felice quando posso dare spazio alla mia creatività fra i fornelli. Manipolare gli impasti, sentire il profumo dei biscotti nel forno o del caramello sul fuoco sono per me attimi intensi e rigeneranti. Penso che preparare da mangiare sia un vero gesto d’amore nei confronti delle persone che amo. Adoro scegliere gli ingredienti con cura, utilizzare ortaggi colorati, spezie profumate e osare combinazioni più o meno insolite. A volte però fra mille impegni si ha la necessità di cucinare qualcosa di veloce e sostanzioso e in questi casi io cucino le quiche! Queste ultime, infatti, possono essere considerate un pasto completo e avendo poco tempo sono buonissime anche il giorno dopo fredde oppure riscaldate velocemente al forno!

Ingredienti:

Tre zucchine

cinque porri

75 grammi di pancetta

due confezioni di pasta sfoglia

due uova

pane grattugiato q.b.

un cucchiaio di parmigiano

120 grammi di provola affumicata

olio evo q.b.

un tuorlo d’uovo per spennellare le decorazioni.

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 Procedimento:

Mondare i porri e le zucchine e ridurre tutto in piccoli pezzi. Mettere i porri e la pancetta, in una casseruola e far cuocere fino ad imbiondire i porri. In seguito aggiungere  le zucchine, l’ olio e un pizzico di sale e far cuocere fino ad ultimare la cottura. Lasciar raffreddare per poi aggiungervi le uova, il parmigiano, il pane grattugiato, la provola in piccoli pezzi e un pizzico di sale. Ritagliare  con l’aiuto di un bicchiere capovolto tanti dischi di pasta sfoglia,bucherellarli con una forchetta e disporli all’interno di piccoli stampi di alluminio. versare all’interno dei dischi di sfoglia il composto precedentemente preparato e spolverizzare con pane grattugiato. Ritagliare con un taglia- biscotti delle formine di pasta- sfoglia , spennellatele col tuorlo d’uovo e sistemarle come decorazione sopra la superficie del tortino. Infornare in forno preriscaldato a 180 gradi e cuocere fino ad ultimare la cottura. Se necessario togliere le mini quiche dalle tegliette e continuare la cottura.

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Lorighittas

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Vi siete mai soffermati a sentire il profumo della semola Senatore Cappelli? Appena ho  aperto la confezione sono stata investita dalla  bionda fragranza delle spighe disposte al sole e accarezzate da un soffio di vento.

Credetemi, non sto assolutamente esagerando questa semola ha un profumo molto evocativo che si fa ancora più deciso e intenso allorquando viene impastata con l’acqua e entra in contatto con la pelle delle mani.

La Semola Senatore Cappelli è ottenuta dalla macinazione di un’antica varietà di grano  duro autunnale selezionata da Nazzareno Strampelli. Questa cultivar ha quasi compiuto il secolo ed oggi viene coltivata soprattutto in Basilicata, in Puglia, in Calabria e in Sardegna (Trexenta, Marmilla e  Sarcidano).

Sarà, dunque, perché ne adoro il profumo e il sapore o perché sono fiera del fatto che venga prodotta in Sardegna o semplicemente perché porta il nome di un  illustre conterraneo di mia madre, l’abruzzese  Raffaele Cappelli ma io oggi la scelgo come ingrediente per la mia ricettina del giorno: Le Lorighittas!

Le Lorighittas sono un formato di pasta, con un intenso color giallo semola, tipico del paese di Morgongiori. Nella forma ricordano vagamente  un orecchino torchon richiuso su se stesso a formare un anello o più spesso una forma più allungata. Devono il loro nome a “ Sa loriga”ovvero l’anello al quale si legavano gli animali. Questa pasta tradizionale, viene prodotta ormai da tanti anni. Si pensi che una relazione  sulle attività economiche rivolta al re di spagna del XVI secolo già le menzionava!

Venivano confezionate fin dalla seconda decade di Ottobre in preparazione della festa di tutti i Santi. Tutte le donne del paese si riunivano intorno al tavolo e tra una chiacchiera e l’altra “facevano sera” confezionando col solo uso delle loro mani questi splendidi gioielli di semola e adagiandoli su cesti e canestri intrecciati per poi farli asciugare. Le donne più anziane a dispetto dell’abbassamento della vista, erano  e sono ancora oggi, quelle più svelte nell’atto di plasmare l’ impasto. Queste Lorighittas sono anche le più belle, frutto di una manualità acquisita da piccole e mai dimenticata. Alla fine della giornata di lavoro le Lorighittas venivano suddivise fra le donne e portate da ognuna nel proprio nucleo familiare e disposte ad asciugare per tre giorni in estate e una settimana in inverno. Per preparare le Lorighittas si forma prima una pallina di impasto che viene tenuta coperta per non farla seccare (io uso un pezzetto di pellicola trasparente). Poi sul tavolo pulito, si allunga l’impasto con un movimento veloce delle mani. Le due mani rivolte con i palmi verso il basso si muovono avanti e indietro sul tavolo per formare una cordicella di impasto. Quest’ultima viene poi arrotolata due volte su tre dita (l’indice, l’anulare e il medio) e intrecciata con un rapido movimento. Un procedimento molto lungo e laborioso, dunque, ma che con tanta esperienza e manualità può diventare incredibilmente semplice e veloce. In Sardegna molti alimenti sono legati ad una storia fantastica e spesso con una morale rivolta ai bambini e ciò avviene anche nel caso delle Lorighittas con la “Storiella di Maria Pungi Pungi”. Maria pungi pungi era una strega che volava nel cielo sulla sua scopa nel giorno di tutti i santi e pungeva con un forcone tutti i ghiottoni che avevano mangiato troppo quel giorno. Allora le mamme consigliavano ai bambini di lasciare qualche Lorighittas nel piatto per Maria pungi pungi. A casa mia poco lontano da li, a Cagliari, nel frattempo  vigevano ben altre regole: se lasciavi qualcosa nel piatto erano guai!

Ingredienti

Semola rimacinata

Acqua

Sale

Procedimento

Impastare a mano in un contenitore capiente la semola e l’acqua con disciolto all’interno il sale.023

Trasferire l’impasto sulla spianatoia per lavorarlo a mano fino a renderlo omogeneo. I colori della foto non  so perché ma non sono i colori reali, purtroppo, ma per fortuna questo non influisce sul procedimento.

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Far riposare brevemente l’impasto avvolto in una pellicola e poi iniziare la lavorazione.Per preparare le Lorighittas si forma prima un tozzetto di impasto che viene tenuto coperto per non farlo seccare (io uso un pezzetto di pellicola trasparente). Poi sul tavolo pulito, si allunga l’impasto con un movimento veloce delle mani. Le due mani rivolte con i palmi verso il basso si muovono avanti e indietro sul tavolo per formare una cordicella di impasto. Ora si può lavorare intorno alle dita senza reciderla alla base oppure si può prima tagliare la cordicella di impasto per poi iniziare la lavorazione. La prima è la lavorazione più corretta ma a me, che non sono troppo esperta, vien meglio nel secondo modo.

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Quest’ultima viene poi arrotolata due volte su tre dita (l’indice, l’anulare e il medio) e intrecciata con un rapido movimento. purtroppo non ho nessuno che mi fotografi mentre creo la Lorighittas ma spero di essermi spiegata bene col testo scritto e mi riservo in futuro l’aggiunta di alcune foto illustrative. Una volta pronte le Lorighittas possono essere adagiate su un canestro intrecciato ma io purtroppo non possedendone uno le ho posate su un  vassoio di cartone per alimenti spolverato di fecola e farina. Le Lorighittas  disposte  sul vassoio dovranno asciugare per tre giorni in estate e una settimana in inverno. dopo cotte,potranno essere condite in maniera tradizionale con sugo semplice o ragù di galletto oppurealle verdure e in tutti i modi che vi suggerisce la fantasia.

045P.S. imparate dai miei errori…qualche anello si è rotto nell’atto di scolare la pasta, forse perché non le ho sigillate bene o perché le ho scolate tutte assieme.Sarebbe meglio usare una schiumarola!

Zucchine a Tutto Tondo

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Ingredienti:

4 grandi zucchine rotonde

Olio evo q.b.

75 grammi di pancetta dolce a cubetti

1 mozzarella

Un uovo

Pane grattugiato q.b.

parmigiano

Pepe nero q.b.

Sale q.b.

Procedimento

Lavare le zucchine, tagliare orizzontalmente la parte superiore e scavare  la zucchina all’interno con l’apposito attrezzo (o aiutandosi con un cucchiaino) avendo cura di conservare l’interno per il ripieno.

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Far scottare brevemente (circa cinque minuti) in acqua calda e salata le zucchine scavate.

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In una casseruola mettere l’olio e la pancetta e far soffriggere leggermente prima di aggiungere gli altri ingredienti. Quando la pancetta avrà schiarito il suo colore aggiungere  l’interno della zucchina tagliata a pezzetti, il pepe nero e il sale e continuare la cottura a fuoco lento. Lasciar raffreddare il composto e poi aggiungere la mozzarella sgocciolata e ridotta in piccoli pezzi, un cucchiaio di parmigiano, abbondante pane grattugiato. Riempire le zucchine (precedentemente scavate e scottate nell’acqua) con questo composto e richiuderle utilizzando l’estremità recisa come tappo.

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Infornare a 180 gradi fino ad ultimare la cottura.

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Indovina chi viene a pranzo oggi?

Nel mio precedente contributo, intitolato “indovina chi viene cena?” ho introdotto l’argomento dell’arte del ricevere gli ospiti in maniera molto generale. Oggi, invece, ho pensato di arricchire un po’ la trattazione illustrando più dettagliatamente alcuni aspetti, che per necessità di sintesi ho precedentemente trascurato ma, che rivestono comunque grande importanza. Se, dunque, dovete organizzare un pranzo o una cena a casa vostra ed avete avuto l’intuizione di navigare nelle placide acque di internet in cerca di risposte, respingendo così il vostro primo impulso di mettervi le mani fra i capelli e urlare, ebbene questo contributo è per voi!

Un primo consiglio è quello di invitare un numero di persone adeguato alla situazione. Se avete, infatti, una casa di medie dimensioni, tavolo di media grandezza e non siete soliti organizzare pranzi e cene per tanta gente sarebbe meglio contenere il numero di invitati. Non è mai consigliabile, infatti, stipare gli invitati in luoghi ristretti senza rispettare il loro “spazio prossemico”. Ognuno di noi, infatti, costruisce intorno a se una bolla di protezione che lo tiene a “distanza di sicurezza” dagli altri. La “distanza di sicurezza” dagli altri, infatti, varia da persona a persona e si restringe o dilata in base al rapporto più o meno stretto che abbiamo con il prossimo. Se viene violato questo nostro spazio ideale reagiamo con situazioni di imbarazzo e fastidio cercando di ripristinare la giusta distanza. Questo concetto ha ancor più valore se si pensa che durante un pranzo o una cena ognuno dei commensali è impegnato a mangiare. L’atto del cibarsi è considerato da qualcuno come atto con un alto grado di intimità. Avete mai sentito dire a qualcuno: “ non mi piace che mi si guardi mentre mangio?” questo concetto ha poi un risvolto pratico perché man mano che lo spazio fra i commensali si restringe diventerà sempre più scomodo svolgere le attività connesse al mangiare come, ad esempio, tagliare la carne nel piatto. Se è pur vero che non si deve sgomitare e che bisogna tenere le braccia aderenti al corpo mentre si usano le posate è anche innegabile che questo comportamento non possa venire imposto da una carenza di spazio! Una superstizione che accomuna molti paesi fra cui l’Italia impone, inoltre, il divieto di sedersi in tredici a tavola. Questo è anche l’oggetto di una nota commedia teatrale di M. G. Sauvajon dal titolo appunto: “Tredici a tavola”.

L’origine della superstizione del numero tredici viene attribuita a diversi accadimenti. Una prima ipotesi ritiene che l’origine di questa credenza debba attribuirsi alla circostanza che durante l’ultima cena erano presenti al tavolo tredici persone ovvero Gesù e i suoi dodici apostoli. La superstizione sarebbe così ricollegata al tradimento e alla morte. Una seconda ipotesi si basa sul fatto che il venerdì tredici del 1307 Filippo il bello diede ordine di arrestare e sterminare i templari. Dunque il tredici evocherebbe l’idea di un evento tragico. Esistono tante altre versioni sull’origine della scaramanzia legata al numero tredici ma queste sono oggi le più conosciute. Vi consiglierei,dunque, a meno che non sappiate in maniera certa che i vostri invitati non sono scaramantici, di evitare di invitare proprio tredici persone! 😉

Per quanto concerne l’invito, il menu, l’ordine di servizio e le relative tempistiche, il vino, i complementi del piatto, cadeau, l’apparecchiatura delle posate, dei bicchieri e dei piatti rimando all’articolo precedente. (https://stranapagina.wordpress.com/2015/02/25/indovina-chi-viene-a-cena/) Qui, invece, intendo soffermarmi su altri importanti profili cominciando dal tovagliato.

La tovaglia rappresenta il primo problema da affrontare per chi si accinga a preparare la tavola. Precedentemente ho solo accennato al fatto che si possono usare tovaglie, runner, tovagliette americane e tutto ciò che la fantasia suggerisce ma è ovvio che se, ad esempio, siamo in presenza di un invito formale sarà preferibile se non doveroso l’utilizzo di una tovaglia. Ma che tovaglia scegliere? In un passato non troppo lontano la tovaglia da preferire sarebbe stata una tovaglia di lino ricamata ma oggi appare adeguato anche l’utilizzo di tovaglie damascate in fiandra o semplicemente di tovaglie in lino a tinte tenui o stampate con disegni delicati. La tovaglia dovrà essere stirata perfettamente e sarebbe opportuno inamidarla leggermente in modo da rendere il piano molto teso e la caduta perfetta. La caduta non deve mai toccare terra a meno che non si tratti di un tavolo da buffet. Sotto la tovaglia sarebbe opportuno porre un mollettone bianco e gommato in modo che attutisca gli urti degli oggetti posti sul tavolo, valorizzi le tovaglie che hanno delle trasparenze e preservi il tavolo dalla caduta di liquidi che potrebbero rovinarlo. Nel caso di tovaglia con ricami ad intaglio sarà opportuno porre fra i due piani un’ulteriore tovaglia in tinta unita. Una volta vestita la tavola bisogna scegliere il servizio in porcellana o ceramica che vi si abbini alla perfezione. Se si tratta di un occasione formale opteremo per un classico servizio in porcellana bianco. Se, invece, si tratta di un invito informale andrà bene ogni colore che si abbini bene al tovagliato meno che il colore rosso. Alcuni studi condotti presso l’ università di Basilea in Svizzera hanno, infatti, evidenziato che servire un pasto in un piatto rosso inibirebbe l’appetito. Così se siete a dieta ben venga il piatto o il bicchiere rosso ma non se avete ospiti a tavola e volete che mangino con sano piacere. Il rosso, dunque, che è da sempre utilizzato per segnalare divieti e pericoli diventa anche un segnale di stop per il nostro appetito. Un servizio da dodici di porcellane o ceramiche dovrebbe comprendere oltre ai piatti piani, fondi, da dolce, da pane, da frutta anche le tazze per il consommé con il relativo piattino, la salsiera, le zuppiere, i vari piatti da portata declinati in vari formati, l’ insalatiera, le mezzelune da accostare al piatto, ciotoline per il sale, la coppa da macedonia con le relative coppette. Per quanto riguarda il servizio di posate queste dovranno avere uno stile compatibile con le porcellane o il servizio ceramico e dovrebbe comprendere:12 cucchiai da minestra, 24 forchette, 12 coltelli,12 coltelli da pesce, 12 forchette da pesce, 12 coltellini e forchettine da frutta e dessert,12 cucchiaini da caffè,12 cucchiai da dolce,12 coltellini spalma burro, un mestolo piccolo e uno grande, tre cucchiai e tre forchette grandi da portata, posate da arrosto, posate da pesce, posate da insalata, paletta e coltello per dolci, posata per salsiera. Come già accennato nel contributo precedente, anche i bicchieri dovranno essere adeguati al vino e alle bevande che si intende offrire. Per quanto riguarda il centrotavola avevo accennato di prediligere nella scelta centrotavola bassi che permettano di guardare in faccia tutti i commensali. Negli inviti formali sarà preferibile la scelta dei fiori con colori in abbinamento al resto della mise en place e che abbiano profumi tali da non disturbare l’esperienza gustativa dei commensali. Si usa spesso utilizzare anche coppe d’acqua in cui galleggiano fiori senza stelo e candele. In inviti meno formali si potrà trarre ispirazione dalle stagioni e utilizzare boule con pesciolini, stelle marine e conchiglie, oppure in mesi autunnali ghiande e castagne, grano e così via. In prossimità del tavolo dovrà essere collocato un carrello con tutte le cose che non trovano posto a tavola ma sono necessarie come ad esempio l’oliera, i piatti necessari per il cambio, le posate di servizio etc etc.

In attesa che tutti gli ospiti arrivino, la padrona di casa, senza mai apparire impaziente, dovrà far accomodare gli ospiti in soggiorno e intrattenerli offrendo aperitivi e “stuzzichini”. Quando tutti saranno presenti, la padrona di casa provvederà ad assegnare i posti a tavola a meno che si tratti di un invito formale e in questo caso saranno previsti dei segnaposto. L’assegnazione dei posti in un invito formale dovrà seguire alcune semplici regole.

  • La padrona di casa deve sedersi in modo da tenere la situazione sotto controllo, le spetterà, inoltre, il posto a capotavola a meno che si tratti di invito in onore di qualcuno e in questo caso il posto d’onore spetterà a quest’ultimo.
  • Si deve rispettare l’alternanza di uomini e donne
  • A moglie e marito o padre e figlia non devono mai essere assegnati posti contigui.
  • L’ospite maschile più importante deve sedersi alla destra della padrona di casa mentre la signora più importante alla destra del padrone di casa
  • Bisognerà tener conto di amicizie, affinità e inimicizie nell’assegnazione dei posti
  • Cosa molto antipatica a modesto parere di chi scrive ma a quanto pare prevista dal galateo sarà quella di stabilire l’importanza dei commensali tenendo conto di titoli, funzioni, valori intellettuali e età. Alle persone importanti andranno attribuiti i posti migliori ovvero quelli con visuale più ampia e non verso la parete.

Il servizio in tavola dei singoli piatti viene eseguito sempre da destra mentre quello dei piatti da portata sempre alla sinistra dell’ospite. I vini e l’acqua devono essere serviti da destra. Il servizio segue l’ordine di anzianità (dalla più anziana alla più giovane) delle donne e poi si servono gli uomini, seguendo lo stesso ordine, e per ultima la padrona di casa. Il Padrone di casa avrà l’onere di assaggiare il vino prima del servizio. Saranno, comunque, da evitare quelle situazioni in cui la padrona di casa si assenta continuamente e per lunghi lassi di tempo per esigenze di servizio. Tutto dovrà essere organizzato in modo che i tempi risultino perfetti. Per le occasioni formali è sempre meglio, se si hanno adeguate disponibilità economiche, assumere del personale preposto al servizio.

Altra cosa molto importante per il buon esito di un invito formale è quella di conoscere come ci si comporta a tavola per evitare pericolosi scivoloni!

Come prima cosa non bisogna mai augurare buon appetito e non bisogna mai brindare dicendo “cin cin!” Augurare buon appetito è pari ad un incitamento all’abbuffata decisamente poco consono alle occasioni formali. In passato le nobildonne avevano addirittura l’usanza di mangiare a casa propria in modo da poter ostentare un certo contegno in pubblico. Cin cin invece è una moda borghese piuttosto moderna e non condivisibile. In occasioni formali è sempre meglio innalzare il bicchiere in segno di augurio prima di portarlo alle labbra. Ovviamente in famiglia o con amici quell’intimo gesto di avvicinare i bicchieri guardandosi negli occhi è sempre permesso e personalmente la trovo anche un’usanza carina e divertente che rende il momento festoso! Il pane deve sempre essere spezzato con le mani in piccoli tozzi sul piattino da pane e il coltello non deve mai essere usato per tagliare il formaggio.

Ed ecco che possiamo concludere sottolineando che non è importante soltanto ciò che viene servito ma anche come lo si fa e in quale contesto. Spero che questo piccolo contributo possa risultare di aiuto a quanti si trovano spaventati e disorientati nell’organizzare i primi pranzi o le prime cene in casa propria. Buona fortuna!

Liebster award 4.0

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Scrivo da poco tempo in un blog e non sono ancora molto pratica di queste cose dunque diciamo che ci provo.

Ringrazio www.ilmioblogpercaso.wordpress.com per avermi incluso fra i suoi 10 blog da nominare! Questa è per me la prima nomina ed è tutto nuovo! Trovo che sia un modo carino per conoscersi meglio. Le tue domande sono originali e divertenti e  prometto che farò del mio meglio per formulare le mie 😉 Anche io faccio copia e incolla delle regole del liebster award 4.0

  • Ringraziare il blog che ti ha nominato;
  • Rispondere a 10 domande;
  • Scegliere 10 blog da nominare;
  • Porre 10 domande;
  • Comunicare la nomina ai 10 blog scelti.

Allora facciamo i “compitini”! Ancora grazie ad Alessia del blog www.ilmioblogpercaso.wordpress.com per avermi nominata e ora passo alle domandone 😉

1- Ci presenti il tuo blog? Il nome del mio blog dice molto sul suo contenuto.   Si chiama  Stranapagina ed è un contenitore per tanti argomenti diversi. Mi rispecchia tantissimo nelle mie tante sfaccettature e peculiarità. Si potrebbe forse dire che è una soluzione satura al centro per cento di ciò che sono, dei miei ricordi di bambina, dei miei affetti, delle tradizioni  usi e costumi della mia terra, di cosa è per me fare turismo sostenibile,della mia passione per l’enogastronomia che mi ha spinta a farne un lavoro. Racconto aneddoti familiari e ricette di famiglia,cerco di trasmettere il contenuto storico- emozionale del vino, dei piatti e degli alimenti. Attraverso una galleria fotografica dei miei luoghi del cuore  e tramite dei tour da me proposti spero di trasmettere il mio amore per la mia Sardegna,un territorio bellissimo, ricco di risorse, miti e leggende.

2- Perchè hai aperto un blog? Mi sono detta: Perché no?

3- Hai sogni nel cassetto che vorresti realizzare? Ne ho anche negli armadi, sotto al letto, nelle credenze, nella madia, nel comodino e nel comò! Penso che i sogni siano il motore che muove il mondo e che bisogna sempre avere dei nuovi traguardi da raggiungere nella vita, bisogna sempre spingersi un pochino più in là dei propri limiti per cercare di oltrepassarli sempre!

4- Se fossi un animale, quale vorresti essere?Un pinguino imperatore  perché sono molto romantica e mi ha colpito molto il fatto che sia monogamo.

5- Quale persona famosa, di qualsiasi epoca, genere, o ambito ti piacerebbe incontrare? Mi piacerebbe incontrare Maria Montessori o Madre Teresa di Calcutta.

6- Un viaggio pazzesco che sogni di fare? Il mio sogno è l’india.

7- In quale epoca del passato ti piacerebbe vivere? O magari il futuro? Antico Egitto.

8- Quali sono le tue passioni? Ovviamente cucinare, fare il decoupage, restaurare mobili, arredare case, amo leggere libri di filosofia  psicologia, misteri e romanzi.

9- Come immagini te e/o il tuo blog nel futuro? In evoluzione…. Chissà dove mi porterà il cuore e la passione! Io non metto limiti

10- Ti fai una domanda e ti dai una risposta? Ahahah mi sembra di essere un ospite di Marzullo! Questa è la classica domanda a piacere che sempre mette in crisi 😉 Vi dirò cosa è per me davvero importante: Per me è importante l’amore e il rispetto che si ha gli uni per gli altri, la passione con cui si fanno le cose piuttosto che i risultati, il cuore sempre un po’ più avanti della testa, la sensazione di libertà che si prova a volte anche in vite non sempre libere! Il rispetto delle proprie opinioni fino a dove inizia il rispetto per quelle degli altri. La mia frase preferita è una frase di Voltaire che dice più o meno così: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”.

I blog che nomino sono quelli che ho scoperto per primi e sono quelli con cui forse finora ho trovato maggiori affinità

Ecco le “domandone” per  i blog che ho nominato:

1- Come avevi pensato il tuo blog prima di iniziare a scrivere e come si è evoluto nella realtà?

2- Quali sono le tue grandi passioni?

3- Cos’è ciò che ti spinge ad andare avanti quando tutto cospira per farti fermare?

4- Quali sono le tue paure?

5- Qual’è il tuo libro preferito?

6- Qual è il film di cui conosci tutte le battute e che  potresti riguardare all’infinito?

7- Cosa proprio non tolleri?

8- Qual’ è il tuo sogno più grande?

9-  quali sono le dieci cose che è importante sapere per andare d’accordo con te?

10- Sei una persona pigra, attiva o una sana via di mezzo?

Sarei curiosa di leggere le vostre risposte! dunque se vi va di divertirci assieme queste sono le domande 😉

Tour emozionale: Pane, grano e spiritualità in Sardegna.

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Un’antica leggenda narra che in un tempo assai remoto la Sardegna era abitata da piccole fate le “janas”. Le “janas” erano creature magiche e misteriose detentrici di scienza e sapere la cui dimora consisteva in una grotticella artificiale di pietra. Un giorno queste creature decisero di sviare i passi di una giovane donna dalla strada battuta e di condurla così presso le loro grotticelle. Il loro intento era amichevole: volevano insegnarle i segreti della panificazione di un pane magico: il pane carasau e donarle una ”matrice miracolosa” che nascosta nella farina  e mischiata con dell’acqua  avrebbe  aumentato il volume dell’impasto. Così  nel segreto della grotticella, nell’utero della terra, da elementi magici come acqua purissima di sorgente, terra (grano dorato), aria (incorporata con il lievito) e fuoco sarebbe nato l’ alimento perfetto: il Pane. La donna apprese la ritualità, si sentì responsabile depositaria del segreto delle fate e custode della preziosa matrice che tutto moltiplica e tutto trasforma. Le fate le dissero che quel lievito madre avrebbe dovuto essere tramandato di generazione in generazione e “rinnovato” ad ogni impasto. Così da allora le donne depositarie di questo segreto, della matrice e del rito rinnovano giorno dopo giorno quest’arte panificatoria. La leggenda non sarà mai niente di più che una fiaba ciò che risponde a verità è invece la dimensione magico-religiosa che riveste in Sardegna un alimento come il pane che non è mai stato solo un semplice alimento. Il pane, infatti, è stato semantizzato di contenuti culturali. È rito, mito, leggenda! È incrocio di sacro e profano! In una Sardegna che ha restituito resti di epoche precedenti legati al pane come: pintaderas, contenitori per la conservazione dei cereali, bronzetti raffiguranti offerenti di pane e che poi è divenuta granaio di Roma e d’Italia  il pane è sempre stato parte di un sistema più ampio.

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In periodo cristiano è diventato corpo di Cristo con la transustanziazione ed è divenuto pane pasquale, pane di Lazzaro, pane delle comunioni, pane del santo, pane degli sposi, pane del battesimo, pane del patrono. Lo scorrere dell’anno cristiano era scandito e scolpito nella pasta del pane. Oggi vi propongo un viaggio spirituale, un viaggio verso il centro e non verso l’altrove, un pellegrinaggio verso il cuore della religiosità isolana e del tempo e dello spazio racchiusi in un pane. Il rito del pane inizia a mezzanotte con una preghiera. L’impasto si segna con una croce per aprirlo alla lievitazione e alla rinascita e resurrezione che porta a nuova vita. Il pane é patrimonio di famiglia e delle genti. Segna miseria e nobiltà. Se bianco è consumo ostentativo di una posizione sociale agiata se nero o finanche di ghianda rappresenta povertà e molto spesso tutto ciò che la famiglia possiede.

Il nostro viaggio inizia in un museo del pane come centro tematico e culturale che dischiude i propri saperi e spiega le valenze culturali di questo scrigno di significati. All’interno del laboratorio dello stesso museo, poi, si metteranno le mani in pasta e si assaporerà la sensazione tattile e in genere sensoriale legata al preparare l’impasto e al modellarlo fra le mani.

Dopo essersi dedicati all’acquisto dei pani rituali e dei libri nel bookshop del museo, si può pranzare al sacco con pani, salumi, formaggi locali e dolci sardi oppure recarsi all’Agriturismo San Giuseppe (menù da 27 euro: antipasti, 2 primi, 2 secondi, dolci sardi, caffè e amari).

Il percorso terminerà nella grotticella in cui tutto ebbe inizio in un continuo rimando fra passato e presente, fra materiale e immateriale fra spirito e “istinto primario del nutrirsi”. Si potranno così visitare le domus de janas di Serbine situate nelle campagne del paese.

Sempre a Borore si potranno visitare due nuraghi a tholos uno dei quali costituisce anche la torre più antica della Sardegna. La torre sud , infatti, è stata datata al  2000 a.C. circa mentre la  torre Nord fu edificata probabilmente intorno al XV secolo a.C. Tutt’intorno immersi nella vegetazione vi sono i resti del villaggio circostante.

Borore ospita anche otto tombe dei giganti  fra le quali spicca quella di Imbertighe riprodotta in numerosi libri e riviste di archeologia.

Informazioni:

  • Museo del pane rituale

indirizzo: viale Baccarini, 08016 Borore (NU)
tel. 0785 879003 – 346.2104437 –
Gestione: Comune di Borore
Biglietto: 2,50 euro
visita guidata 1 euro
laboratorio didattico 5 euro
Orari: Lunedi/Sabato ore 8.00/13.00
Pomeriggi e Festivi su appuntamento
email: info@museodelpanerituale.it

  • Agriturismo San Giuseppe menù da circa 27 euro: antipasti,2 primi,2 secondi,dolci sardi, mirto, limoncello e caffè

località Imbertighe | 08016 BORORE (NU)
Tel. Cell: 338 6637198

  • pasticceria I dolci di nonna Quirica  per l’acquisto di dolci e pani tipici. situata a Borore  in via Roma al civico 30. Tel. 0785 86104

Dolci tipici di Borore sono : pirichitosgiorminos,tumballinastziliccassospirosamarettospitifurros .

Vino: Borore, recentemente è stato riscoperto come terra natìa del vino (Gli scavi effettuati nel 2002, nel sito di “duos nuraghes” hanno, portato in superficie  vinaccioli  antichissimi, carbonizzati dal tempo, databili intorno al 1200 avanti Cristo. Una vera e propria scoperta nella storia enologica che situava la nascita della pratica dell’addomesticazione della vite nell’area caucasica. Ciò, inoltre, ha permesso di identificare il cannonau come autoctono e non frutto di importazione spagnola). In questo piccolo borgo, Dunque, pane e vino ovvero corpo e sangue di Cristo si incontrano.Questo è assai curioso  perché Borore risulterebbe un posto eletto da Dio anche in base alle teorie contenute in un libro scritto da Juan Pedro Quessa Cappay, rettore della parrocchia di Borore e Noragigume, che indica il paesino di  Borore come il primo centro abitato della Sardegna dopo il diluvio universale.

                                                                           Saludi e trigu!