IL Rito del Pane Pasquale

 

Un’antica leggenda narra che in un tempo assai remoto la Sardegna era abitata da piccole fate le “janas”. Le “janas” erano creature magiche e misteriose detentrici di scienza e sapere la cui dimora consisteva in una grotticella artificiale di pietra. Un giorno queste creature decisero di sviare i passi di una giovane donna e di condurla così presso le loro grotticelle. Il loro intento era amichevole: volevano insegnarle i segreti della panificazione e donarle una ”matrice miracolosa” che nascosta nella farina e mischiata con dell’acqua avrebbe aumentato il volume dell’impasto. Così nel segreto della grotticella, nell’utero della terra, da elementi magici come acqua purissima di sorgente, terra (grano dorato), aria (incorporata con il lievito) e fuoco sarebbe nato l’ alimento perfetto: il Pane.

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La donna apprese la ritualità, si sentì responsabile depositaria del segreto delle fate e custode della preziosa matrice che tutto moltiplica e tutto trasforma. Le fate le dissero che quel lievito madre avrebbe dovuto essere tramandato di generazione in generazione e “rinnovato” ad ogni impasto. Così da allora le donne depositarie di questo segreto, della matrice e del rito rinnovano giorno dopo giorno quest’arte panificatoria. La leggenda non sarà mai niente di più che una fiaba ciò che risponde a verità è invece la dimensione magico-religiosa che riveste in Sardegna un alimento come il pane che non è mai stato solo un semplice alimento.

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Il pane, infatti, è stato semantizzato di contenuti culturali. È rito, mito, leggenda! È incrocio di sacro e profano! Nel mediterraneo le civiltà cerealicole primitive sostituiscono al sacrificio umano e di animali il sacrificio del pane. Il pane viene, dunque, offerto alle divinità che  propiziano il raccolto. Gli antichi coltivatori, infatti, temevano più di tutto il resto la siccità e le malattie e parassitosi delle piante.

La Storia ci insegna che furono gli Egizi a fare il pane per la prima volta e che anche presso di loro il pane era alimento Sacro e prezioso poiché lo confezionavano in forma conica o piramidale per offrirlo al tempio. Erodoto, il noto storico greco ci riporta, inoltre, che in ogni casa egizia vi fosse l’impasto inacidito ovvero il lievito madre e questo fosse visto come un ingrediente magico capace di trasformare l’impasto.

Anche gli Ebrei conoscono il pane e hanno anche fra le loro varietà una focaccina lievitata ma prediligono consumarlo azzimo perché è il pane del viaggio.

Agli azimi si legano rituali del giorno della pasqua ebraica in cui il capofamiglia raccontando il passaggio di Mosè nel mar rosso amministra e spezza gli azzimi.

Anch’essi lo offrono al Signore al tempio nella misura di 12 focacce sostituendolo ai sacrifici umani e animali di biblica memoria, come quello di Abramo nei confronti del proprio figlio Isacco prima che Dio gli fermasse la mano.

I romani “pianteranno” dei pani nel terreno per fecondare la terra e apriranno i primi panifici.

In Sardegna le cose non vanno diversamente, il pane è ancora alimento sacro e importante e ciò è testimoniato dai numerosi ritrovamenti archeologici come: pintaderas, rozzi silos per i cereali, pestelli di pietra,  bronzetti raffiguranti offerenti di pane.

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Il pane è sempre stato, alimento imprescindibile, base della nostra alimentazione e cosiddetto pane quotidiano e ciò a maggior ragione quando la Sardegna diviene granaio di Roma e d’Italia.

La coltivazione del grano nelle civiltà cerealicole che basavano il proprio sostentamento sui cereali  era, inoltre, rivestita di sacralità e  portava con se riti di propiziazione degli Dei.

In periodo pagano il pane rituale veniva confezionato per propiziare il raccolto nel periodo del solstizio estivo che arrivava a conclusione del ciclo agrario iniziato col solstizio invernale.

Nel giorno del solstizio invernale , alcuni chicchi di grano andavano a morire nella buia terra, illuminati da un debole astro solare ma durante il solstizio estivo quando il sole raggiungeva il suo massimo potere illuminante il grano biondeggiava nei campi ma già intravedeva la morte per mano del contadino e della sua falce. Così in un ciclo continuo di vita, morte e rinascita ciò che rimaneva imperituro era lo spirito del grano. L’uomo faceva così esperienza di passione, morte e rinascita.

La Sardegna fu, dunque, teatro di una vera e propria religione agraria che vedeva nell’usanza del covone rituale la sua massima espressione.

Il covone rituale era il primo o l’ultimo covone mietuto in cui si sostanziava la divinità del grano e il racconto della sua “ passione” che subisce violenza e muore per mano del contadino per poi rinascere nella stagione successiva.

Per rimediare all’offesa e al male arrecato alla divinità madre terra e al grano stesso  e per propiziare una nuova stagione agraria favorevole e non siccitosa ed evitare malattie e parassitosi del grano veniva recitata una preghiera tramandata di generazione in generazione.

La divinità del grano venne così personificata nelle figura di alcune divinità come, ad esempio, Demetra o Persefone in Grecia, Adone e Afrodite in Siria, Tammuz Cibele in Babilonia e Iside o Osiride in Egitto.

Da noi questa usanza è arrivata ancora prima dei Romani con i fenici e i greci ed ha avuto un grande successo poiché il nostro sostrato culturale aveva già il culto della Dea Madre che conosceva il ciclo di nascita, morte e rinascita.

Il grano del primo covone verrà tenuto in casa con la  funzione di scacciare il malocchio, riseminato, usato per sa mixina antiga e sparso sui morti per propiziarne la rinascita, posto negli armadi per salvaguardare i possedimenti familiari.

Il pane rituale veniva forgiato in forme apotropaiche e in venerazione di astri celesti e divinità terrene.

Ad esempio, a forma di triangolo per la dea triangolo, a forma di mezzaluna, a forma di cuore oppure evocando pitture rupestri: cerchio, spirale, rombo, clessidra.

Il pane giornaliero invece evocava in genere immagini di fertilità come vegetazione, grano e fecondità.

Per gli antichi arte, lavoro, religione e panificazione erano una cosa sola. Infatti i laboratori di pane, tessitura e ceramica sorgevano a ridosso del tempio.

In periodo cristiano il pane è poi diventato corpo di Cristo con la transustanziazione ed è divenuto pane pasquale, pane quaresimale, pane delle comunioni, pane del santo durante il novenario, pane dei morti, pane degli sposi, pane del battesimo, pane del patrono.

Vi sarà però comunque un continuum con le feste e le usanze pagane e le festività Cristiane in quanto alcuni dei riti pagani e la stessa simbologia e motivi ornamentali dei pani rituali verranno semantizzati di nuovi significati Cristiani, espressione di ciò che il vangelo asserisce ove recita che:“ Cristo fa nuove tutte le cose”.

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Durante i riti della settimana Santa il pane verrà così  portato anche nel sepolcro per identificare il ciclo del grano con il rito di nascita, morte e resurrezione in Cristo che Gesù stesso conosceva quando diceva che il chicco deve morire per dare frutto come l’uomo deve morire a se stesso per avere la vita eterna.

Il ventinove di giugno , giorno sacro per la mietitura diventa il giorno di San Pietro in occasione del quale con le spighe del covone viene confezionata una croce, oppure un mazzo di spighe da inserire in un pane rituale a forma di croce o ancora, una croce di stoppie o un mazzo di spighe plasmato con la pasta del pane.

Dalle spighe offerte col covone rituale ai santi, inoltre, il Sacerdote ricaverà la farina per le ostie in osservanza della prescrizione di Dio a Mosè tramandata agli israeliti: Offrirete un covone a Dio per mezzo del sacerdote.

Un altro covone verrà invece appeso in casa con funzione apotropaica e sarà il covone di San Giovanni.

Il pane a forma di triangolo dedicato alla dea diverrà sa pippia e caresima formata da una testolina e due triangoli sovrapposti per il corpo con sette gambe, una per ogni settimana di quaresima e nel marghine rimarrà anche la tradizione del pane a forma di triangolo.

Ogni paese in Sardegna veniva contraddistinto più nel passato che nel presente dal profumo del suo pane.

Il pane é patrimonio di famiglia e delle genti. Segna miseria e nobiltà. Se bianco è consumo ostentativo di una posizione sociale agiata se nero o finanche di ghianda rappresenta povertà e molto spesso tutto ciò che la famiglia possiede.  Nei paesi della Sardegna vi è una forma di rispetto per il pane: il pane non si taglia col coltello bensì si spezza con le mani, non si mette capovolto sul tavolo perché rappresenta i valori della comunità e della famiglia e si ha la credenza che capovolgendolo si muti in negativo l’ordine delle cose.

Se  il pane o un suo tozzetto cade in terra deve essere baciato e mangiato subito poiché si tratta del corpo di nostro Signore.

Si mette un pezzo di pane nella culla del nascituro sotto il guanciale o all’interno della camiciola a contatto con la pelle per allontanare il malocchio e per lo stesso motivo le donne lo mettevano nel reggiseno.

Il rito del pane inizia a mezzanotte con una preghiera. Per i pani rituali si utilizzano tre varietà di grano: trigu biancale, trigu sardu e il cosiddetto trigu siciliano. Sia la madrige ovvero il lievito madre che l’impasto si segnano con una croce per aprirli alla lievitazione e alla rinascita e resurrezione che porta a nuova vita.

Il pane è espressione di vita comunitaria e sociale poiché si riuniscono molte donne per confezionarlo e le bambine diventano donne intagliando il pane con le donne della propria famiglia.

Durante questo momento di festa si parla di tante cose, si ride e si racconta il passato.

Il pane viene scolpito con forbici dalla punta diritta, rotelle, coltellini affilati e spesso vengono usati dei timbri per la sua decorazione. Questi timbri possono risalire al periodo cristiano e dunque raffigurare, santi, la Madonna, croci e quant’altro oppure essere ancora più antichi e avere le decorazioni che hanno le pintaderas ritrovate durante gli scavi a Barumini, Villanovaforru, Torralba, Orroli etc etc.

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La sacralità del pane ha fatto in modo che anche la natura del forno venisse mistificata.

Il forno, presente soltanto nelle case più abbienti, con la sua forma circolare e il suo interno di mattoni refrattari diviene quasi un oggetto sacro che però può essere prestato come la macina a pietra in cambio della cosiddetta decima  parte.

Nei paesi vi erano anche le cosiddette panificatrici professioniste che facevano il pane per gli abitanti del paese e che così presero l’abitudine di firmarlo,  per contraddistinguerlo, con proprie fogge e propri timbri.

La sala del forno era un luogo puro che non doveva essere violato dall’ingresso di estranei durante la panificazione.

Per mantenere il malocchio lontano dal pane venivano posti tre granelli di sale grosso sulla soglia e se malauguratamente qualche donna estranea varcava la porta durante il rito della panificazione le veniva imposto di toccare il pane e pronunciare formule magiche e preghiere che terminavano con la formula:” che Dio vi aiuti per la buona riuscita del pane”.

Le panificatrici rispondevano in coro: “ Che Dio lo voglia e le regalavano un pane”

Se il pane stentava a lievitare venivano chiamate donne anziane depositarie di antiche formule e riti magici per togliere il malocchio.

La sacralità del forno trovava le sue radici in un’antica usanza pagana che vedeva Vesta come dea del forno.

A lei venivano presentati i malati per essere guariti ponendoli davanti al forno accesso mentre i bambini venivano avvolti in panni caldi che precedentemente avevano avvolto il pane appena sfornato.

La forma e il colore del pane davano, inoltre, oracoli sul futuro raccolto.

Per quanto riguarda ,invece, il pane pasquale il simbolismo è in gran parte un simbolismo di derivazione Cristiana a parte qualche caso in cui si ravvisano elementi della panificazione precedente.

Questo è proprio il caso del pane pasquale più conosciuto ovvero  “Su coccoi con l’ou” ovvero il tipico pane di pasqua confezionato con l’uovo.

Questo è davvero il pane più conosciuto e uno dei pochi ancora in uso ma a dire il vero l’antica usanza prescriveva che dall’inizio della quaresima fino a pasqua si preparassero pani rituali differenti in cui il tema era la passione, morte e risurrezione di Gesù.

Avremo così pani rituali quaresimali, pani rituali della settimana Santa  e pani che andranno ad imbandire la sola tavola del giorno di Pasqua.

La tradizione cattolica, infatti,  suddivide in settimane un periodo di quaranta giorni che precede il giorno di Pasqua.

Questo tempo nella nostra tradizione inizia con il mercoledì delle ceneri e si conclude con il giovedì Santo.

Per ogni settimana di quaresima in Sardegna veniva, dunque, preparato un pane.

Così, ad esempio, a Ghilarza vi erano nell’ordine:

-la settimana del cardo spinoso

-la settimana della scala

-la settimana della croce

-la settimana di Lazzaro

-la settimana del pesce

-la settimana della palma

Molti pani venivano riprodotti in forma ridotta per i bambini per insegnare loro i tempi religiosi e gli avvenimenti della morte e risurrezione di Gesù Cristo.

Nella prima settimana di quaresima nel marghine veniva confezionata “sa corona e caresima” una ghirlanda o un ferro di cavallo con sette rigonfiamenti (detti melas) e col passare delle settimane diminuiva il numero dei rigonfiamenti fino ad un solo rigonfiamento la domenica di Pasqua.

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In barbagia e nel campidano si preparava, invece, “sa pippia e caresima”.

Questa bambolina era formata da due triangoli sovrapposti con sopra un capo tondo e sette piedi rappresentanti le settimane di quaresima.

Era come un calendario e veniva appesa di fianco al focolare e per ogni settimana trascorsa le si bruciava una gambetta.

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A Oristano e Ghilarza veniva invece preparato il pane del cardo ovvero: “ su pani e Ureu”.

Sette bastoncini di pasta si intrecciavano a formare un nodo e i sette bastoncini rappresentavano i sette steli del cardo spinoso e le sette settimane di quaresima.

Nella seconda settimana abbiamo S’iscala ovvero la scala diffusa in molte zone diverse della Sardegna.

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Una scaletta di pane da tre a quattro pioli che rappresentava la salita sulla croce.

Nella terza settimana abbiamo “Sa rughe” ovvero la croce veniva dunque preparata un pane a forma di croce latina e veniva segnata con un coltellino affilato con un incisione a croce oppure decorata con fiori e uccellini.

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Abbiamo poi la quarta settimana cosiddetta di Lazzaro con “ su pani e Lazzaru” che ha origine ad Abbasanta e in tutto l’oristanese.

È un pane di forma antropomorfa rappresentante Lazzaro avvolto in lunghe bende e a volte decorato con chicchi di grano che ne simulano lo stato di decomposizione.

Il pane rappresenta il potere di Gesù sulla morte.

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Poi vi è la  quinta settimana ovvero la  settimana del pesce. Veniva preparato un pane a forma di pesce destinato alle offerte per i poveri.

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Il simbolismo è chiaro essendo da sempre il pesce il simbolo delle prime comunità cristiane riunite in  nascondimento e preghiera.

Si poneva il simbolo del pesce per indicare ai primi cristiani dove riunirsi poiché l’acronimo della parola ikthys ovvero pesce tradotto in italiano significa : “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.

Il pane ricorda il sacrificio di Cristo per salvare l’umanità dal proprio peccato.

Poi vi è la settimana delle palme.

Per la Domenica delle palme abbiamo: “Sas rughittas” e “s’omine”.

Sas rughittas ovvero le crocette sono un accompagnamento per i tipici simboli benedetti della domenica delle palme ovvero: la palma intrecciata e il rametto d’ulivo. Le foglie vi si infilavano all’interno e le crocette venivano appese agli stipiti delle porte e alle finestre per benedire l’abitazione. Qui rimanevano appese per tutto l’anno fino all’anno seguente in cui venivano bruciate e sostituite. S’Omine rappresentava Gesù Cristo e veniva utilizzato allo stesso modo delle crocette, ma all’interno dell’ovile, adornandolo con foglie di ulivo e palme intrecciate.

Per il giovedì Santo abbiamo invece: su pane e’apustolos,  su pane e sas virghines, su pane e su lavabu.

Su pane e’ apustolos è un pane a forma di corona molto grande intitolato agli apostoli.

Era preparato dalle madri  di figli molto malati la notte del mercoledì per essere portato in offerta la mattina seguente molto presto a tutte le case del vicinato visibili dalla casa della madre panificatrice.

Il voto durava tredici anni.

Questo pane non poteva essere mai rifiutato nemmeno in caso di faide familiari perché sarebbe stato un atto sacrilego.

Un altro pane del giovedì santo era“Su pane e Sas Virghines”ovvero un pane a forma rotonda, che ricorda vagamente una spianata, intagliato lungo i lati e timbrato con pintaderas a motivo floreale.

Doveva essere distribuito a 12 vergini con l’augurio di un felice matrimonio.

Nel marghine, poi, le confraternite femminili preparavano  con il grano della questua“ su pane e su lavabu” un pane di varie forme come trecce, rombi e corone che veniva portato in chiesa e offerto dopo la lavanda dei piedi ai poveri della comunità insieme ad arance e viole.

Le arance , infatti, simboleggiavano l’abbondanza e le viole contrizione e dolore per la morte di Cristo.

Sempre il giovedì santo e sempre per le famiglie bisognose veniva preparato “ su pane e sas animas de sa giogia Santa in memoria dei propri defunti.

In questa settimana poi venivano confezionati pani in forma di chiodi della croce e di corone di spine.

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Sul tavolo pasquale, invece, troveremo:

  • Sa Pertusita e’ pasca
  • Sa capude e pasca
  • Sos puzzones de mele
  • Sa simula pintara e pasca
  • Su coccoi e su pidreru
  • Su cogone con mendula

 

Sa perusita e’ pasca è un pane rotondo decorato con i simboli della passione mentre sa capude ha una forma allungata vagamente antropomorfa decorata allo stesso modo. In tempi precristiani si preparava a capodanno caput anni che veniva celebrato in settembre da qui il nome capude e anche dal fatto che il pane prendeva la forma dell’uomo al quale veniva regalato e quello del capo famiglia veniva spezzato sulla testa del proprio figlio maschio più piccolo come augurio.

Sos puzzones de mele non è esattamente un pane ma è un dolce composto dagli stessi ingredienti dei coricheddos nuoresi ma a forma di colomba.

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Sa simula e pasca è un pane pintau  con varie forme:ghirlanda, ferro di cavallo, fiore, volatile etc etc ornato con fiori e colombelle.

Su coccoi e su pidreru erano , invece, pani a forma  di ghirlanda o ferro di cavallo o mezzaluna  con vari rigonfiamenti sui quali sono disposte decorazioni a tema pasquale.

Era donato ai bambini che accompagnavano il sacerdote per la benedizione della casa al rintocco della campana delle ore 14.00.

Su cogone con mendula è una spianata, una ghirlanda o una treccia decorata con mandorle e destinata al tavolo di pasqua o regalata a parenti e amici.

Il  occasione del giorno di Pasqua detta “ Pasca Manna”, inoltre, verranno preparati per i bambini su coccoi con l’ou e i “coccoeddu con mindula” per i bambini nelle famiglie meno abbienti. Vi erano, inoltre varianti più fantasiose come la borsetta con l’uovo, il piccione con l’uovo, la bambolina con l’uovo e altri pani cosiddetti giocattolo.

Per gli adulti si preparavano, invece, sa cogone cun mendula, su pane pintau e pasca decorato con uova, mandorle o noci.

Il pane pasquale era sempre contraddistinto dal suo candore e le uova vi simboleggiavano la vita, l’abbondanza  e la morte e resurrezione di Cristo.

L’uovo che sembra materia senza vita racchiude al proprio interno la vita pulsante, rappresenta dunque  in se stesso una piccola espressione di risurrezione come il  muto sepolcro per Cristo risorto.

L’uovo in realtà prima di essere un simbolo Cristiano è stato simbolo pagano poiché in alcune credenze del passato l’uovo era l’unione di cielo e terra e per gli egizi era unione dei quattro elementi : acqua, aria, terra e fuoco.

Nel medioevo era  simbolo di rinascita della natura in periodo primaverile.

 

Carla Puddu

Maestro in Enogastronomia e Ospitalità

 

 

 

 

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